Itinerario/gita

Palazzolo : il Barocco

Luoghi
Vie e Piazze di Palazzolo Acreide
Data partenza
19/03/2014
Data ritorno
19/03/2014
Presentato da
Comune di Palazzolo Acreide - Ufficio del Turismo
Descrizione
Basilica di San Paolo Venne edificata intorno alla metà del XVIII secolo in un’ampia area urbana dove preesisteva una Piccola chiesa dedicata a Santa Sofia, che in tale circostanza venne demolita. La basilica, distrutta dal terremoto del 1693, fu riedificata tra il 1720 e il 1730 occupando anche lo spazio prospiciente. La splendida facciata opera probabilmente del netino Vincenzo Sinatra, costituisce uno dei più belli esempi del barocco locale. Edificata nell’ultimo trentennio del XVIII secolo, posteriormente alla facciata del pronao, presenta diverse peculiarità come la pregevole scalinata disposta su due rampe di diversa larghezza, l’ampio portale in bronzo raffigurante la vita del santo patrono, le ricche decorazioni scultoree. I tre ordini della facciata sono cadenzati da archi e colonne sormontate da capitelli corinzi. Nel primo ordine si notano cinque arcate, quelle mediane sono separate da quelle centrali da due coppie di colonne corinzie poggianti sull’ampia zoccolatura presente in tutta la base dell’edificio. Il secondo ordine ha un vano centrale dove quasi, miracolosamente, appare un grande Cristo che benedice con accanto due angeli protettori, mentre l’ultimo ordine si eleva in una torre che accoglie la campana. Tutta la facciata, costellata da sei coppie di statue degli Apostoli, fino agli inizi del ‘900 era sormontata da un fregio,oggi non più esistente, che raffigurava una spada, simbolo dell’Apostolo Paolo, attorcigliata da un serpente, e inserite all’interno di una corona regale. Anche l’interno della basilica affascina e colpisce, lo spazio a tre navate è impreziosito dalla ricchissima volta, dalle colonne tortili che troneggiano nell’abside, dai numerosi e pregevoli quadri e dal grande organo posto sopra il portale d’ingresso. Nell’attuale chiesa a tre navate, con due absidi laterali che racchiudono le due navate minori, si trovano undici altari, di cui due siti nelle cappelle laterali. L’altare maggiore con marmi policromi è del 1868, in esso vi è posto un bel crocifisso del XVI-XVII secolo. Fra le enormi colonne policrome dell’altare, dietro il quadro della conversione di San Paolo, attribuito a Crestadoro, vi è la nicchia in cui è custodita la statua dell’omonimo santo, eletto “patrono principale” di Palazzolo nel settembre del 1689. Questa statua, fabbricata e scolpita dal ragusano Vincenzo Lorefice nel 1567, nel corso di questi secoli ha subito diversi interventi conservativi e di abbellimento, che ne hanno alterato l’originaria immagine. Quando fu consegnata, nel XVI sec., la statua era dipinta a tempera e con colori uniformi, turchino la veste e rosso il manto. San Paolo venne eletto “Patrono principale” di Palazzolo nel settembre del 1688. Le due vare, quella della reliquia e di San Paolo, sono perennemente esposte nella chiesa. Le opere di maggiore rilevanza sono l’organo, uno dei maggiori della città, in origine sistemato tra il primo e il secondo pilastro della navata sinistra, trasportato poi negli anni trenta nella cantoria, e diversi e splendidi quadri di Giuseppe Crestadoro, posti sui vari altari. Da notare l’imponente seggiolone e le quattro sedie presbiterali scolpite dai Giuliano nel 1860 in sagrestia, oltre ad un prezioso “cassazizzo” scolpito nel 1778 da Giovanni Torrisi di Catania e Gaetano Rametta di Siracusa, vi sono quattro grandi armadi, a due a due simili, cassapanche e quattro portiere che in alto incorniciano delle pregevoli tele. Chiesa di San Sebastiano l’originaria chiesa di San Sebastiano fu edificata nell’area dell’attuale sito, probabilmente nella seconda metà del 400, vicino ad una piccola chiesa dedicata a San Rocco. Subì degli ampliamenti già nel XVI secolo ed ancora nella prima metà del ‘600. Il terremoto del 1693 la distrusse quasi del tutto e venne ricostruita nel primo ventennio del ‘700. La facciata, disegnata dal mastro-architetto Mario Diamanti, siracusano, fu edificata nel 1721 a tre ordini preceduta da una scenografica scalinata. Il primo dei tre ordini è adornato da un bel portale incorniciato da quattro colonne abbinate e alla sua base si trovano, da una parte e dall’altra, due leoni del Labisi. Nel secondo ordine è posto l’orologio mentre nel terzo la loggia campanaria le cui campane risalgono ai primi dell’800. La facciata venne del tutto completata, con il campanile, intorno al 1768. L’interno è caratterizzato da tre navate su cui domina l’altare maggiore con i suoi bei marmi e le belle statue in stucco. Sulla volta della navata centrale si trovano tre grandi affreschi ottocenteschi, mentre pregevoli stucchi e marmi pregiati su tutti gli altari che contengono bei quadri e statue di santi. Fra’ Giacinto Farina tramanda che alcuni altari furono costruiti con marmi rinvenuti in una cava della “Purbella”, contrada di Palazzolo. Tra gli altari di maggior prestigio quello di San Mauro dipinto da Giuseppe Tanasi nel 1853; inoltre gli altari di San Sebastiano e quello di San Rocco, di autori ignoti, e il successivo altare con una tela di San Pietro in Vincoli, dipinta da Marcello Vieri nel 1785. Un altro quadro è quello di S.Luigi Gonzaga dipinto da Giovanni Tanasi nel 1855. Imponente è l’altare maggiore con i suoi bei marmi e con le belle statue in stucco eseguite da Gioacchino Gianforma da Catania nel 1784. Il Gianforma eseguì anche tutte le decorazioni delle volte e delle arcate delle tre navate, le statue in stucco e la mormorazione delle colonne che si trovano nella chiesa. La navata è chiusa da un’abside con la Cappella del SS.Crocifisso edificata nel 1721 dalla omonima Confraternita. In sagrestia si può ammirare un enorme armadio con intagli e bassorilievi di elevato livello artistico. Viene attribuito ai Costa, nota famiglia palazzolese di ebanisti. Ai lati dell’altare due occhialoni affrescati intorno agli anni ’40 da Sisino. Nella nicchia sopra l’altare è riposta la statua di san Sebastiano, scolpita ad Augusta, nel 1693 da autore ignoto. Nella navata di sinistra si trova la Cappella del Sacro Cuore di fine architettura ed un altare che custodisce il corpo di Sant’Urbano, trasportato in questa chiesa nel 1762. Nella navata di sinistra l’altare di Santa Margherita da Cortona con uno splendido quadro dipinto da Olivo Sozzi nel 1758. Segue l’altare di Santa Maria di Odigitria con un’antica statua della Madonna portata dai Calogeri. Infine l’altare delle Anime del Purgatorio con un quadro dipinto da Piero da Quintavalle nel 1855. Da ricordare l’imponente organo costruito da Carlo Del Piano nel 1728-29 e che rimane fra i più pregevoli di Sicilia. Chiesa Madre documenti di archivio attestano l’esistenza della chiesa dal 1215, anno in cui fu dedicata al culto di San Nicolò dal vescovo di Siracusa Bartolomeo Gash. La chiesa è la più ampia di quelle esistenti ancora oggi nel paese, ricostruita dopo il terremoto del 1693. La facciata oggi visibile è invece da attribuire ad una ricostruzione effettuata dopo un crollo verificatosi nel 1833. Divisa in due ordini, in quello inferiore si distingue il portale centrale con copertura a timpano e ai lati due nicchie prive di statue. Chiude la parte superiore di quest’ordine un architrave decorato con metope e triglifi. Il secondo ordine è caratterizzato dalla stessa disposizione architettonica dell’ordine inferiore, con la sola variante di presentare al centro una nicchia priva di statue e ai lati due finestre con campane. La parte superiore è chiusa da un fregio riccamente decorato, con ai lati due statue. L’interno è diviso in tre navate, delle quali quella centrale è separata da quelle laterali da quattro colonne. L’abside maggiore presenta un coro ligneo settecentesco che fa da cornice all’altare maggiore marmoreo, sul quale era collocato un quadro di San Nicolò di Mira attribuito al pittore palazzolese Paolo Tanasi. Sotto la volta dell’abside erano raffigurati i quattro Evangelisti. Secondo una tradizione locale queste immagini erano note per la loro bruttezza col nome di “varcacanni” e indicavano i demoni delle tempeste. Ancora oggi, per incutere paura ai bambini, si dice “Stai attento ca venunu i varcacanni”. Nell’anti-sagrestia vi è una credenza ottocentesca scolpita dai Costa. In sagrestia un “Cassarizzo” datato al 1760, ornato da statuine raffiguranti i santi il cui culto era esercitato sul posto; l’armadio custodisce il preziosissimo archivio vicariale che contiene atti a datare dal 1400. Dall’attuale presbiterio si può accedere attraverso una piccola porta all’antica sagrestia, unica parte dell’edificio conservatasi dopo il terremoto del 1693. Le pareti sono in pietra, dentro una nicchia vi è un piccolo lavabo,utilizzato dai presbiteri del tempo. Inoltre vi sono conservati alcuni elementi architettonici probabilmente appartenenti alla prima fondazione della chiesa. Nella navata sinistra si distingue l’altare marmoreo dedicato a Sant’Ippolito, sormontato un tempo dalla tela che rappresenta il Martirio del santo, attribuita a Pietro Novelli. Nella navata destra si trova una cappella anticamente dedicata al S.S. Sacramento, oggi invece dedicata a San Giuseppe. Questo gioiello dell’architettura locale è purtroppo chiuso dal 1982: infatti si attende il progetto di finanziamento che permetta il recupero e il totale consolidamento dell’edificio. Per questo motivo i decori, le statue, i dipinti sono conservati parte presso la vicina Basilica di San Paolo e parte nella chiesa dell’Annunziata. La semplicità dell’esterno non rende onore alla maestosità dell’interno della chiesa che incanta per l’ampiezza, la luminosità, le colonne, gli altari marmorei, l’organo. Chiesa di S. Antonio Abate Costruita nel 1634, distrutta dal terremoto del 1693 è stata riedificata nel ‘700. La facciata, che ricorda lo stile romanico, è rimasta incompleta del secondo campanile. Entrando dalla porta laterale destra ci si trova subito nella piccola navata dove si possono ammirare gli altari laterali, di fronte l’altare dell’Addolorata con un bel quadro di autore ignoto. Questa navata è caratterizzata da tre cupole, due delle quali abbellite e adornate da teste di santi e di angioletti in basso rilievo e angeli in alto rilievo, pregevoli opere in stucco di Sebastiano Giuliano, scultore palazzolese. Nella navata centrale, a sinistra, vi sono gli altare lapidei costruiti nel 1833, dedicati alla Madonna della Consolazione e santa Lucia. L’altare maggiore, costruito nel 1807 da maestranze siracusane, austero e pulito nelle sue linee architettoniche, è pregevole per la varietà e qualità dei suoi marmi policromi; di ottima fattura sono i basso rilievi dei quattro medaglioni, rappresentanti scene bibliche e scolpite a Siracusa. Vi si venera Maria Addolorata. Chiesa di San Michele Costruita fra il XV ed il X VI e riedificata dopo il terremoto del 1693, la chiesa di s. Michele fu consacrata nel 1727 da Papa Benedetto XIII. All’ esterno la facciata, priva di pregi architettonici, si eleva su gradinata e sagrato ed è semplice nei suoi due ordini; in corrispondenza del portale centrale, inserito tra due colonne in stile corinzio, si trova un’ ampia finestra ai lati della quale sono due nicchie a conchiglia. Sulla sinistra è il campanile con la cupola. All’ interno la chiesa, a tre navate, ha gli archi laterali a tutto sesto e le colonne, di pietra bianca e a fusto liscio, con capitelli corinzi. Dietro l’ altare maggiore, ricco di marmi policromi e situato in fondo alla navata centrale, è collocato il seicentesco quadro di s. Michele il quale cela la nicchia contenente la statua, in legno, del santo. Lungo la navata destra si trovano quattro piccoli altari tra semicolonne binate poggianti su alti plinti , addossate al muro. Nella navata laterale sinistra, alla quale si può accedere anche attraverso un in ingresso secondario posto sul lato sud della chiesa, si trovano due altari anch’ essi addossati al muro. Nella sagrestia è conservato un pregiato armadio in noce, un crocifisso in avorio e un piccolo capolavoro in corallo raffigurante s. Michele che uccide il drago. Chiesa dell'Annunziata Considerata la più antica chiesa di Palazzolo, edificata probabilmente nel XIII-XIV secolo; distrutta dal terremoto del 1693 fu riedificata nello stesso sito dall’architetto Matteo Tranisi, è il gioiello dell’arte settecentesca palazzolese. L’esterno della chiesa si distingue per l’ampio portale, caratterizzato da quattro colonne tortili binate, riccamente adornate da tralci di vite e fregi, che rappresentano motivi agresti: mele cotogne, melegrane, uva e altra frutta a grandezza naturale. La facciata è incompleta, si pensa dovesse essere completata da una loggia campanaria e da un frontone sovrastante le due coppie di colonne. L’interno della chiesa è a tre navate, ritorna il motivo ornamentale agreste nelle alte arcate della navata centrale. Particolare l’altare maggiore in marmo colorato, raffigurante uccelli e delicati motivi floreali che richiamano l’allegoria della Primavera. Sull’altare si erge un tabernacolo scolpito nel marmo e caratterizzato da una miriade di colonnine sormontate da testine di putti. Dietro l’altare è una tela rappresentante l’Annunciazione, opera di Paolo Tanasi, pittore locale. Nelle navate laterali numerosi altari arricchiti da vari dipinti. Nel 1474 Antonello da Messina, su commissione del rettore della chiesa, dipinse su legno un grande quadro dell’Annunciazione, il capolavoro rimase all’interno della chiesa fino al 1906, quando fu acquistato dalla soprintendenza di Siracusa per la conservazione e il restauro, oggi è custodito nei locali del Museo Bellomo di Siracusa. Chiesa dell'Immacolata La chiesa dell’Assunta (o dell’Immacolata), situata originariamente, insieme al Convento di Santa Maria di Gesù, nel punto più alto dell’Acremonte e totalmente distrutti dal terremoto del 1693. Fu costruita tra il 1753 e il 1765 in un punto più basso vicino al centro abitato. Dedicata prima al culto di S’Antonio di Padova appartenente ai Padri Secolari. Nel 1876 subentrò la congregazione delle Suore della Carità e vi fu istituito un orfanotrofio. All’esterno la facciata convessa, unico esempio nel paese, è divisa in due ordini: in quello inferiore si distingue il portale con due nicchie a conchiglia, in quello superiore si apre un’ampia finestra. Sulla sinistra della facciata, in posizione arretrata rispetto ad essa, si erge il campanile, che sembra essere stato costruito precedentemente. L’interno della chiesa è ad un’unica navata, caratterizzata da altari laterali arricchiti da ricami lapidei, colonne arabescate e tortili, con frontoni spezzati. Tra le opere artisticamente più interessanti al suo interno degno di nota è il quadro conservato nella sagrestia della chiesa, opera di Paolo Tanasi, pittore palazzolese, dipinto nel 1818, raffigurante Gesù Crocifisso e le anime del Purgatorio. In particolare va menzionata la statua, realizzata in marmo bianco di Carrara, della Madonna col bambino eseguita da Francesco Laurana tra il 1471 ed il 1472, alta 190 cm, e poggiante su una base con iscrizione ”Sancta Maria de la Gratia de Palaczu” e un bassorilievo della Dominio Virginis. Su un lato della base è inoltre scolpito uno scudo con sei palle, che è lo stemma degli Alagona, baroni del paese, committenti dell’opera; sull’altro lato uno scudo con leone rampante. Anticamente la statua aveva il manto con orlo e stelle d’oro ed il volto dipinto, fu poi lavata nel 1925 e perse la bellezza pittorica, presentandosi oggi tutta bianca. La statua è considerata la più bella Madonna scolpita dal Laurana. Chiesa di San Francesco La chiesa è di recente costruzione, adiacente ad essa era un grande convento, fondato nel 1574 e tenuto dai frati Cappuccini, che contava più di trenta celle. I due edifici furono distrutti dal terremoto del 1693, la chiesa fu riedificata grazie alle elemosine dei fedeli e completata nel 1710. L’architettura esterna della chiesa è molto semplice e lineare con la facciata di copertura a timpano: si distingue il portale d’accesso, sormontato da una finestra; a destra di esso il campanile che risulta sull’edificio accanto. L’interno della chiesa rispetta i canoni degli edifici francescani, ad una sola navata, con l’altare maggiore ligneo, che si conserva ancora oggi arricchito con due statue di cartapesta. A sinistra dell’edificio si distinguono tre cappelle: del Purgatorio, del SS. Crocifisso e di Santa Maria degli ammalati. Anticamente custodiva due quadri di pregevole importanza: quello di San Lorenzo che riceve le stimmate, opera di Giuseppe Salerno, e quello di San Lorenzo, opera molto probabilmente di Bernardo di Offida. I due dipinti furono suggellati nel 1862 e purtroppo di essi non si ha più notizia. E’ andata perduta anche una statua dell’Immacolata risalente al XVI-XVII sec. Dopo l’unificazione del Regno d’Italia la chiesa e il convento caddero in disuso; il convento a partire dal 1886 fu riutilizzato come edificio scolastico e dal 1890 al 1920 ospitò la biblioteca comunale. Nei locali sottostanti la chiesa si trovano delle catacombe purtroppo non accessibili. La tradizione popolare narra l’esistenza di un cunicolo sotterraneo che collegava il Convento dei Frati Cappuccini al Monastero delle Suore di Clausura (la Badia), sito dell’attuale municipio, ma finora non ci sono testimonianze concrete di ciò. Chiesa e Convento dei Cappuccini La chiesa dei cappuccini, costruita tra il 1870 e il 1880, ha la facciata a due ordini dei quali quello inferiore con al centro un grande portale, affiancato da due nicchie, quello superiore,con una sola finestra centrale, è sormontata da un timpano con croce centrale. L’interno, semplice nella propria struttura artistica, secondo i canoni delle chiese francescane, è ad una sola navata con sei altari marmorei addossati ai muri laterali. Sulla parete destra della navata è posta la copia del quadro, originariamente conservato nella chiesa dei Cappuccini,“Sacre stimmate di San Francesco”, dipinto dal cav. Domenico Provenzani. L’atrio è separato dalla navata da una vetrata, opera di artisti fiorentini, raffigurante San Francesco. Il convento dei Cappuccini ,annesso alla chiesa e di grandi dimensioni, è costituito da numerose celle , oggi vuote per mancanza di religiosi. Nel suo ingresso è situata una statua in pietra raffigurante l’Immacolata, che nel volto richiama quello della Madonna del bambino, realizzata da Giuseppe Giuliano, scultore locale, nel 1880. Itinerario Barocco “ I Palazzi” Palazzo Pizzo Situato nella zona centrale del corso Vittorio Emanuele, fu costruito nel XVIII secolo. Al suo esterno presenta un pregevole portale a bugnato, con ai lati due colonne doriche a fusto liscio, decorate a metope e triglifi. Sopra il portale cinque mensole, tre centrali con mascheroni, le due laterali decorate con foglie di acanto sostengono un balcone-tribuna con ringhiera ricurva. Il balcone è delimitato da lesene doriche prive di cornice e sormontate da uno stemma appartenente ad una famiglia gentilizia. Palazzo Judica La sua datazione risale al XVIII secolo. Il palazzo testimonia, nei particolari, la ricchezza architettonica del tardo barocco con decorazioni di gusto spiccatamente neo-classico. Maestoso è il portale con arco a tutto sesto, con ai lati tre lesene riccamente decorate da capitelli corinzi. Sopra il portale si ergono quattro balconi muniti di mensole riccamente ornate. Alla base, originariamente, vi erano quattro porte con rosoni artisticamente scolpiti; oggi non più visibili perché sostituite da larghe aperture, in contrasto con le linee architettoniche del palazzo. Palazzo Ferla di Tristaino oggi Pricone Considerato un gioiello del barocco palazzolese è situato in via Garibaldi, presenta linee strutturali e semplici con il portale ad arco di bugnato liscio e sporgente con lo stemma, alla sua sommità, di una famiglia gentilizia. Inoltre, vi sono quattro balconi sostenuti da mensole scolpite raffiguranti mascheroni e sembianze di animali. Caratteristiche sono le inferriate ricurve. Palazzo Judica-Cafici oggi Caruso La particolarità di questo palazzo è data dalla splendida balconata in stile barocco, considerata la più lunga esistente al mondo; è costituita da ventisette mensoloni scolpiti raffiguranti delle maschere buffe con espressioni una diversa dall'altra. Palazzo Zocco Ubicato in piazza Umberto I, si differenzia da tutti gli altri palazzi perché privo di alcuni elementi architettonici e del portale centrale, ma di particolare importanza sono le mensole della balconata principale. “…è tradizione che i blocchi di pietra di questo balcone provenissero dal vicino castello, distrutto dal terremoto del 1693” (Prof.Corso) Nella mensola centrale spicca uno stemma costituito da un leone ruggente in posizione eretta, con le zampe anteriori poggiate ad un castello. Fa da cornice allo stemma una sorta di collana con perle, sormontata da una vistosa corona, fuoriuscente dalla mensola e simbolo, assieme al leone, di sfarzo e potenza. Le mensole laterali raffigurano ciascuna dei personaggi mitologici maschili e femminili, alternati con motivi ornamentali, come un guerriero greco, uno schiavo nudo, una coppia di sfingi, un servitore. Secondo la tradizione popolare questi motivi fanno riferimento alla vita e ai personaggi che vivevano all’interno del castello del barone Alfonso, attorno al cui stile di vita si è formata una leggenda. LEGGENDA* “Il barone Alfonso nacque in una notte di tempesta in cui sembrava che tutte le forze del male si fossero scatenate. Sin da giovane, egli manifestò una natura ribelle, crudele e particolarmente attaccata alle ricchezze e ai beni materiali; a causa di ciò,si macchiò di orrendi delitti, di prepotenze e vessazioni ai danni degli abitanti del paese, soprattutto dei poveri contadini e degli stessi parenti, prime fra tutte le due sorelle, Tilde e Paola. Don Alfonso aveva avuto in eredità dal padre i feudi di Palazzolo e Falabia, ma egli fece di tutto per impossessarsi dei feudi di Bibinello e Famolio, che erano state assegnati rispettivamente alle sorelle. In ciò era coadiuvato da un manipolo di soldati da lui appositamente assoldati, i quali inflissero alle due povere donne prepotenze e tormenti di ogni sorta (di essi si trova traccia in alcune figure delle mensole). Il luogo della sua nascita fu castel vecchio o “castegghu minzanu” come comunemente i palazzolesi denominano i resti del vecchio castello medievale situato a strapiombo sulla valle dell’Anapo; qui erano collegate, secondo la tradizione, le mensole che ora sorreggono il balcone principale di Palazzo Zocco. Tilde e Paola avevano come residenza l’attuale Palazzo Zocco, che secondo questa leggenda si estendeva su tutto il riquadro della piazza, occupando con le sue stanze e i suoi giardini anche lo spazio su cui oggi sorgono i palazzi Salustro e Calendoli. Poiché il barone aveva reso alle sorelle la vita impossibile, entrambe si erano ritirate nel feudo di Famolio. Qui vissero una vita un po’ più tranquilla e poterono allevare Pauluzzu, il nipote di Paola, contro il quale, in quanto possibile erede, il barone Alfonso si accaniva in modo particolare. Per proteggere il ragazzo , le due sorelle lo nascosero in un istituto religioso di Vizzini, dove Pauluzzu crebbe e si istruì. All’età di vent’anni, egli ritornò nel feudo di Famolio delle cui terre, intanto, il barone si era impossessato, assoldò dei soldati per la difesa della casa e di intentò causa alla zio. Il processo si svolse a Palermo, vide vincitore Pauluzzu, il quale potè ritornare in possesso dei feudi usurpati dallo zio e della casa, che nel frattempo era stata completamente rovinata dalle scorrerie dei soldati del barone e di tutti i prepotenti che lo circondavano. Le condizioni economiche delle due sorelle erano ridotte allo stremo e il povero Pauluzzu non sapeva quali provvedimenti adottare per sanarle. Un giorno, in preda allo sconforto, andò a passeggiare lungo le rive dell’Anapo e mentre era immerso nei suoi pensieri e nelle sue angosce, che neanche la bellezza del luogo riusciva a lenire, incontrò uno strano individuo: era solo e mal vestito e, aveva una barba folta e lunga ed i capelli arruffati gli coprivano gli occhi grandi e prominenti, dai quali traspariva intelligenza e bontà d’animo. Egli era “Peppi u Pazzu” e veniva chiamato così per lo strano tipo di vita che conduceva, lontano da tutti e a contatto solo con la natura e gli animali, che erano i suoi unici amici. Gli si avvicinò pauluzzu e si presentò, ma Peppe disse di conoscerlo e di sapere di tutte le sue pene . Peppe gli disse: “Non disperate : io so come risolvere i vostri problemi , ma solo a una condizione, che sappiate essere coraggioso. Ogni venerdì successivo all’ inizio delle stagioni, si celebra a Cuozzu Friddu ( monte localizzabile in contrada bibinello), allo scoccare della mezzanotte, la mezza dei morti. Se Voscenza ed ha il coraggio di assistervi e di baciare le mani al re, potrà sapere dove si trova il tesoro di Cozzo Friddu e potrà impossessarsene. Pauluzzo aspettò il primo venerdì successivo al 21 dicembre e si recò al posto indicato. Da lontano vide la tomba del re ( il loculo è realmente presente nella zona ed è diverso da tutti gli altri ivi presenti) ed arrivò l’ arrivo della mezzanotte. A mezzanotte comparvero tanti scheletri che accompagnavano, in processione, un re ed una regina regalmente vestiti, anche se pure loro sotto le sembianze di scheletri. La paura lo fece raggelare, ma egli, memore delle paure dell’ uomo, incontrato all’ Anapo, resistette alla voglia di correre e abbandonare quel luogo spettrale. Assistette al rito e ascoltò la “ li tania dei morti” ; fattosi coraggio, si avvicinò al re e s’ inchinò davanti a lui e alla sua consorte. “ Sono il vostro umile servitore” disse e baciò le mani ad entrambi. Il re gli pose la mano sul capo e disse: “Bene, pauluzzu! Tu sei l’ unico tra tutti i viventi, giunti i questo luogo a dimostrare coraggio e perciò sei degno di diventare il custode del mio tesoro”. Lo seguì e imboccò una scala che scendeva sottoterra, chiuse con una chiave d’ oro una sontuosa porta che si ergeva alla fine della scalinata e gli consegnò la chiave. Poi i due ritornarono nel luogo dove si trovavano prima e il re con tutta la sua corte scomparve. Pauluzzu, vinto dall’ emozione e dalla stanchezza, cadde in un sonno profondo. Svegliatosi credette di aver fatto un terribile sogno, ma, mettendosi le mani in tasca vi trovò una chiave. Allora si rese conto che quello che gli riaffiorava nella mente non era sogno ma realtà: scavò nel punto che egli ricordava perfettamente e trovò una scala. La percorse e si trovò davanti una porta; tirò fuori la chiave e la porta si aprì: monete d’ oro e pietre preziose giacevano dappertutto. Pauluzzu se ne impossessò e, potè ricostruire la sua casa e sposare la bella fanciulla che aveva conosciuto a Vizzini di cui era follemente innamorato. *Il testo è tratto da un lavoro eseguito dai docenti della scuola media "V.Messina": Guglielmino Rita, Leone Rosanna, Smiriglio Maria, Corso Antonino, in collaborazione con gli alunni della 3° A. Il Cimitero Monumentale L’antico cimitero di Palazzolo sorgeva nella zona di Colleorbo, ma alla fine del XIX secolo fu ubicato in una zona più idonea, a circa trecento metri a Sud-Est dell’abitato; i lavori iniziarono nel 1889 su ordine del prefetto Pennino. Il nuovo cimitero aveva la forma di due quadrati, di dimensioni diverse, uniti tra loro,con un’estensione complessiva di 18700 mq. Quando i lavori terminarono nel 1896, venne circondato da una muraglia alta 2.50 m. L’accesso avveniva attraverso un ampio portone d’ingresso, adiacente un fabbricato con l’ufficio del custode, la sala per l’autopsia, la camera mortuaria e altri ambienti. Quest’area costituisce il cimitero monumentale, considerato tale per la presenza di opere scolpite tra il 1890 e il 1940; numerose le cappelle gentilizie, i mausolei, le cappelle borghesi, i monumenti. Sul muro di cinta che fiancheggia l’ingresso del cimitero monumentale si trova un antico orologio solare. Fra le cappelle artisticamente più rilevanti quella della famiglia Campailla, di cui è particolarmente interessante il prospetto; quella dei Messina di Bibbia, a tre ordini arricchita da statue e rilievi; la cappella in stile gotico della famiglia Santi Messina Mazzarella; la cappella gotica della famiglia Musso e numerose altre. Non mancano, inoltre, numerose sculture poste a decorazione delle sepolture raffiguranti per la maggior parte delicati angeli e Madonne, opera di scalpellini locali. Le cappelle più grandi e più importanti sorgono lungo le mura di cinta, mentre le sepolture più semplici fiancheggiano i viali. Il visitatore che cammina tra i viali sepolcrali non può ignorare queste opere d’arte che contribuiscono a dare solennità al luogo.


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